Tre libri che ho perso e due che ho trovato in circostanze abbastanza singolari
- La luna e sei soldi, William Somerset Maugham
Devo chiedere scusa a mia madre. Per due motivi. Primo: per anni, da bambino, quando lei tentava di invogliarmi a leggere indicando i volumi della nostra grande libreria, io la ignoravo. Preferivo i videogiochi (ma se non avessi giocato a Monkey Island, per fare un esempio, dubito che avrei poi letto L’Isola del Tesoro o Moby Dick). Quindi scusa, mamma.
Secondo: quando, molti anni più tardi, ho finalmente sentito la necessità di leggere, le ho chiesto di consigliarmi un libro. E lei ha tirato fuori La luna e sei soldi. Uno dei suoi preferiti. Una storia esemplare, oltre che la trasfigurazione letteraria e romanzesca delle vicende del pittore Gaugain: il borghesissimo Charles Strickland scopre la pittura in età avanzata, molla la famiglia e il lavoro e va a cercare la purezza nei tramonti e nelle albe di Haiti.
A questo libro devo tutto. L’ho prestato a una persona in cambio di un altro libro (che non ho mai letto), e non è più tornato indietro. Negli anni non ho avuto il coraggio di chiedere la restituzione, scorticandomi l’anima per aver perduto quel romanzo che portava, sul risvolto, data e luogo d’acquisto: un giorno della seconda metà degli anni ’70, a Bari. (Per cui scusa ancora, mamma.)
- Nessuno scrive al colonnello, Gabriel García Márquez
Da qualche tempo in casa c’è un mistero. Che fine ha fatto questo romanzo breve (o racconto lungo) di Gabo? Non si trova da nessuna parte: eppure ricordo bene di averlo trasferito dalla sterminata libreria dei miei genitori a quella della mia stanza, leggermente più contenuta, perché volevo leggerlo. Davvero può essersi smarrito in un trasporto, peraltro a mano, di neppure cinque metri? Vai a sapere.
Per consolarmi, e per addentrarmi comunque nella bibliografia di García Márquez precedente ai Cent’anni, ho ripiegato sui racconti dei Funerali di Mamá Grande. E così Nessuno scrive al colonnello diventa una scusa, in questa sede, per dire di quest’altro libro: sette spicchi di vita sudamericana, sette momenti in cui la ricostruzione storica viene preferita all’innesco e alla concatenazione di avvenimenti, per cui l’impressione che se ne ricava è che per la maggior parte non succeda niente: a parte la tensione verso l’ottavo e ultimo racconto, che sta lì a spiegarti in che razza di mondo non è successo niente fino a quel momento – oltre ad aprire verso quello, sterminato e mistico, dei Cent’anni…
- Chiamate telefoniche, Roberto Bolaño
Anche questo splendido libro con la copertina rossa l’ho prestato nella speranza che tornasse indietro. Così non è stato e, nonostante non sia troppo affezionato ai libri-in-quanto-oggetti, in questo caso sono un po’ dispiaciuto di non averlo più a portata di consultazione. Per via pure del formato, che fa assomigliare questo compatto Adelphi a una piccola bibbia di ardori e dolori minori; un gioiellino in cui, dal Sud America fino in Russia, Bolaño non fa che ripeterci soprattutto una cosa: e cioè che anche il racconto può essere rivoluzionato dall’interno, anche il racconto può essere massimalista, dal taglio epico, dal respiro grandioso.
- Strade sterrate per posti sperduti, Lawrence Ferlinghetti
Non sono un ragazzo particolarmente fortunato, ma una volta è capitato anche a me di trovare delle banconote per strada, mentre camminavo. Cinquanta euro per terra. È accaduto all’inizio del millennio, nei dintorni di una piccola libreria di Lecce, per cui ho pensato bene di investire parte di quei soldi nell’acquisto di un libro. Del libro di Ferlinghetti mi colpì subito la quarta con quella sua cover punk dell’incipit della Divina Commedia: “E nel mezzo del cammino di mia vita, mi imbattei in me stesso…” All’epoca portavo una cresta, quindi fu amore a prima vista.
- Un dramma borghese, Guido Morselli
Questo libro l’ho rubato. Dunque l’ha perso qualcun altro, o meglio più di qualcun altro: l’ho sfilato via dalla biblioteca della sezione di un partito comunista, diversi anni fa, e non l’ho più restituito.
Non mi pento del gesto: da Guido Morselli ho imparato a leggere e ascrivere in un certo modo – ma soprattutto ho imparato che persino l’incesto può essere raccontato con grazia e poesia. Senza risparmiarsi di scendere comunque in profondità e dare un’occhiata all’inferno da vicino.
La sfortuna in vita di Morselli mi fa un po’ pensare a quella dei Velvet Underground: nessuno comprava i loro dischi, ma tutti quelli che li ascoltavano avevano voglia di mettere su una band. Ecco, diciamo che su di me la scrittura di Morselli ha avuto un impatto simile, spingendomi nella ricerca personale con addosso, come un mantello, quell’antica illusione che si possa avere una propria voce, una propria lingua, una soltanto.
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