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Cinque libri

Cinque libri: Valerio Bassan

una scrivania con tanti pc portatili e persone che lavorano tra tazze di caffè e snack

Valerio Bassan lavora come digital strategist nel mondo del giornalismo: l’ho conosciuto grazie a Ellissi, la newsletter settimanale in cui condivide “quello che succede all’intersezione tra media, business, tecnologia e strategia digitale”.

Ha un superpotere: le storie, le notizie e gli scenari che racconta riescono a farmi guardare il digitale da un punto di vista originale e personale. Da Ellissi imparo sempre qualcosa: ho iniziato a consigliarla anche durante i corsi, perché per me è un aggiornamento irrinunciabile, una delle mie letture preferite della settimana.

Come mi ha scritto Michela, questa rubrica è un po’ “come conoscere nuove persone”: io sono molto contenta di usarla come scusa per parlare di chi mi piace molto. Oggi tocca a Valerio e ai suoi cinque consigli.

Cinque libri per capire i media

di Valerio Bassan

Diffida da chi usa parole come rivoluzione digitale, perché presuppongono l’esistenza di uno status quo da sfidare e sovvertire. Se lavori nel mondo dei media, lo sai: oggi l’unica certezza è che non ci sono certezze, e che la normalità è il mutamento. Meglio allora premunirsi con una certa dose di pazienza, spirito di osservazione e capacità di adattamento, con il benestare di futurologi e visionari. Ecco cinque libri per trovare la rotta giusta nell’oceano digitale, consapevoli che una bussola non basta più.

The Content Trap – Bharat Anand (2016)

Il giornalismo è prigioniero di una “trappola del contenuto”: l’idea che per conquistare lettori e abbonati sia sufficiente proporre un prodotto editoriale migliore rispetto ai competitor. Per affermarsi nel mercato, però, serve anche altro. Secondo l’economista americano Bharat Anand, i media digitali devono occuparsi di costruire, oltre che contenuti, “connessioni”: tra lettori, community, bisogni e informazioni. La capacità di creare e aggregare network e di sfruttarne gli effetti positivi trasforma le testate in piattaforme — e permette loro di creare nuovo valore laddove non ce n’era, portando un effetto positivo sui ricavi. Una lettura illuminante, ottimista e necessaria per chiunque abbia a cuore la sostenibilità economica del giornalismo.

Una frase che ho sottolineato:

“Per navigare il cambiamento digitale serve una certa mentalità: essere umili nel riconoscere che cosa non si può controllare, ed essere rapidi nell’avvantaggiarsi di quello che si può controllare.”

La Società della fiducia. Da Platone a WhatsApp, Antonio Sgobba (Il Saggiatore, 2020)

Non fidarsi è meglio? Ne siamo sicuri? La nostra società è minacciata da un’insidia strisciante: la sfiducia. Sfiducia nelle istituzioni, nella politica, nei media, negli scienziati. Se è vero che le fake news sono sempre esisite, oggi alcuni meccanismi digitali sembrano in grado di amplificarne il potere, sfumando il confine tra fatti e finzione. Non è vero ciò che è vero, insomma, ma è vero ciò che piace (o ciò che fa comodo). Nel suo libro, Sgobba si pone una serie di domande fondamentali per comprendere il perimetro di una crisi sistemica che mette a repentaglio la nostra tenuta psicologica ed emotiva: da Socrate alla società della sorveglianza, una riflessione su come sia necessario ricostruire la fiducia, e su come per farlo dobbiamo re-imparare a convivere con l’incertezza.

Una frase che ho sottolineato:

“La fiducia non ha un interruttore on/off, non si accende o spegne a nostro piacimento. La fiducia civica va costruita.”

The Attention Merchants. How Our Time and Attention Are Gathered and Sold, Tim Wu (Atlantic Books, 2016)

Viviamo nell’era dell’attention economy: le più grandi aziende del mondo, da Netflix ad Apple, da Disney a Google, mettono a punto strategie sempre più raffinate per “industrializzare la cattura dell’attenzione umana”, e per vendere quell’attenzione al miglior offerente. I mercanti dell’attenzione, come li chiama Tim Wu, hanno semplicemente fordizzato un sistema che esiste da quando esistono i mass media, mettendo a repentaglio la nostra felicità e la nostra capacità di crescere in quanto individui (siamo diventati, dice Wu, degli ‘homo distractus’). Un manuale perfetto per capire come funzionano e agiscono certi meccanismi pericolosi.

Una frase che ho sottolineato:

“La nostra esperienza di vita equivale a quello cui abbiamo prestato attenzione, per scelta o per caso. Rischiamo, senza nemmeno rendercene conto, di vivere vite che sono meno ‘nostre’ di quanto ci immaginiamo”.

Trick Mirror. Le illusioni in cui crediamo e quelle che ci raccontiamo, Jia Tolentino (NR Edizioni, 2020)

Passatemi il paragone irrispettoso: Jia Tolentino è una reporter di prima linea. Nel senso che racconta quello che vive, e che vive quello che racconta. Nel suo caso, la ricerca giornalistica avviene su internet (o, sarebbe meglio dire, attraverso internet): il capitalismo digitale, argomenta lei in questi nove saggi, danno vita a uno “specchio ingannevole”, un fenomeno globale con profonde ricadute individuali. Dai suoi esordi nella reality tv alla passione del fidanzato per gli Excel, Tolentino ci accompagna in un viaggio – tanto blackmirroriano quanto intimo – nelle distorsioni delle nostre esperienze online, e nelle ansie che ci generano.

Una frase che ho sottolineato:

“Comunicare un’identità richiede un certo grado di autoinganno.”

Streaming, Sharing, Stealing. I big data e il futuro dell’intrattenimento, Michael D. Smith e Rahul Telang (minimum fax, 2019)

“Per le industrie creative questo è il migliore e il peggiore dei momenti”. Comincia così questo saggio, uno dei libri più interessanti e meglio documentati che abbia letto ultimamente, e che spiega la tempesta perfetta che si è abbattuta sulle industrie dei media e dell’intrattenimento negli ultimi trent’anni, da Napster a Spotify. Epico il racconto del fallimento dell’Encyclopedia Britannica, incapace di vedere la minacciosa avanzata di Wikipedia; illuminanti i casi di studio sulla “coda lunga” sui prodotti di nicchia, da Cinquanta Sfumature di Grigio a House of Cards. Bonus: la postfazione a cura di Federico di Chio che, sottolineando i meriti dell’argomentazione di Smith e Telang, ne evidenza anche le limitazioni, proponendo un’interessante chiave di lettura conclusiva.

Una frase che ho sottolineato:

“In un’economia di mercato è chi compra, non chi vende, a stabilire se determinati prodotti sono in concorrenza tra loro.”

(Foto: Marvin MeyerUnsplash)

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