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Cinque libri

Cinque libri: Guia Cortassa

un bosco di pini dell'Appalachia

Un giorno di novembre Flavio Pintarelli mi ha scritto su Twitter: «Oggi ho letto la prima mail della newsletter di @gcmorvern e mi è piaciuta un sacco. @SignorinaLave ho pensato a te».

Guia Cortassa l’ho scoperta così, grazie alla sua 3G – Una vita lenta e obsoleta: è una newsletter in cui racconta di sé con parole che mi toccano sempre perché le sento vicine e perché sanno farmi immaginare di essere lì con lei.

Quando ha inaugurato 3G Reads, puntate speciali della newsletter in cui consiglia letture che la colpiscono, mi ha fatto scoprire un libro che sembra fatto proprio per me.

Guia scrive, traduce, conduce programmi su Radio Raheem e fa mille altre cose: non vedo l’ora di ascoltare il suo podcast Un’estate fa.

I suoi cinque libri sono un viaggio che arriva al momento giusto, quando sognare di essere altrove ci serve più che mai.

Cinque libri per innamorarsi della West Virginia

di Guia Cortassa

Scrivo queste parole emozionata mentre di fronte a me, sullo schermo della TV, Joe Biden sta scendendo gli scalini dell’ala est del Campidoglio, dopo aver giurato da quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti insieme alla sua VP Kamala Harris.

Gli USA per me sono un amore recente: ho vissuto tutta la mia adolescenza e i miei primi vent’anni sotto l’egida della regina Boudicca, ammantata in una Union Jack e calcando tutte le “T” di ogni parola inglese che incontravo sul mio cammino. Poi, piano piano, i miei orizzonti si sono allargati e spinti sempre più a ovest, fino ad arrivare al continente nordamericano. Da subito, ho capito che ciò che più mi affascinava di quell’incredibile caleidoscopio di luoghi e persone sarebbero state le storie e la cultura dei posti meno conosciuti, fuori dalle megalopoli e dalle grandi vie di comunicazione. 

A farmi innamorare dell’Appalachia è stato un fortuito incontro letterario: la copertina nera lucida, il titolo scritto in un inquietante lettering rosso fuoco, due cervi in bianco e nero affacciati ai finestrini di un’auto, e un blurb di Joyce Carol Oates. È il primo libro di questa lista, nonché quello che mi ha aperto le porte di un mondo a cui si guarda con la stessa morbosa curiosità di un incidente d’auto, schiacciato dal luogo comune che lo vuole un coacervo di arretratezza, violenza, ignoranza e povertà.

L’Appalachia è, invece, una regione piena di complessità – storica, culturale, geografica e, soprattutto, umana –, che si snoda dal Mississippi alla Pennsylvania, e che trova nel triangolo tra Kentucky, West Virginia e Ohio il terreno più fertile per una letteratura grandiosa nel raccontare le persone comuni. Le storie di famiglia sono una delle eccellenze delle autrici e degli autori appalachiani, che hanno saputo traslare sulla carta la realtà non solo delle vicende e dei luoghi – non è raro trovare mappe e cartine all’interno dei libri, per districarsi tra contee, villaggi e possedimenti –, ma anche della lingua, i dialetti e gli idioletti di tutti coloro che hanno preso vita tra le pagine (ne è maestro Chris Offutt, scrittore del grande Kentucky). 

C’è qualcosa, però, nella narrativa scritta e ambientata in West Virginia che ammanta di un fascino irresistibile questa terra di montagne mozzafiato e miniere abbandonate, di contrabbandieri e di contadini, di clan centenari e saghe personali, di povertà e riscatto, più di quanto succeda con i suoi stati confinanti. I suoi autori non sono solo voci e mani maschili, come lo stereotipo potrebbe far pensare, anzi: le autrici della West Virginia sanno ritrarre le mille sfaccettature della loro regione con una sensibilità e un realismo senza pari. Questi cinque titoli sono solo uno sparuto esempio di questa moltitudine, ma sono abbastanza per sentire il proprio cuore aprirsi per il piacere della scoperta di un universo umano e letterario in cui perdersi.

1. Trilobiti di Breece D’J Pancake (Little Brown, 1983 – ed. Italiana minimum fax, 2016)

Quello di Breece D’J Pancake è per eccellenza il nome associato alla letteratura contemporanea della West Virginia. Trilobiti, titolo dalla grande forza evocativa dato a quelle che in origine erano semplicemente The Stories of Breece D’J Pancake, raccoglie l’intero corpus dello scrittore, morto suicida a ventisette anni nel 1979: dodici racconti, alcuni usciti dapprima sull’Atlantic, altri arrivati inediti alla pubblicazione postuma del libro nel 1983. Joyce Carol Oates paragonò questa raccolta a quella d’esordio di Ernest Hemingway recensendola sulle pagine del New York Times, definendo le dodici storie “meste, elegiache, ossessive nel ribadire il predominio del passato sul presente”, cogliendo appieno l’atmosfera che permea dalle vicende dei protagonisti. La vita difficile dell’autore riecheggia nella sua scrittura (quasi una prosa poetica), così come la sua passione quasi maniacale per la sua terra d’origine, che l’ha spinto fin da bambino a volerne scoprirne il folklore, la storia e l’archeologia geologica – “Trilobiti” è il primo racconto che pubblicherà sull’Atlantic e lo farà conoscere nel mondo letterario.

I racconti di Pancake non sono autobiografici, anzi, l’autore scrive di classi sociali a cui lui, quasi di ceto medio, non è mai appartenuto: i suoi personaggi sono persone devastate dalla seconda guerra mondiale, devastate prima dal lavoro in miniera e poi dalla disoccupazione, che bramano un altrove – magari nel Midwest – e colte nella loro quotidianità, in cui noi entriamo grazie alla descrizione delle azioni che compiono e dell’asfalto che calpestano, ritrovandoci immersi nelle loro esistenze attraverso i loro occhi. Non c’è un intento morale nelle parole di Breece, né una pornografia del dolore, le sue non sono “cautionary tales”, ma solo la cronaca di ciò che la West Virginia stava diventando in quegli anni – cronaca resa magica da un fortissimo senso del tempo (e della preistoria) che lo scrittore riesce a far filtrare dalle sue pagine: i fossili, i minerali, i fiumi, le vallate diventano elementi simbolici del mastodonte che è la storia della West Virginia, da cui è impossibile sottrarsi, e dell’immobilità dei suoi abitanti, che, parafrasando Colly, il protagonista di “Trilobiti”, sono nati in questa terra e non hanno mai smaniato per andarsene.

2. Storming Heaven di Denise Giardina (W. W. Norton & Company, 1987)

Pur avendo cercato per tutta la sua carriera di evitare l’etichetta di autrice legata esclusivamente al suo territorio, Denise Giardina è immediatamente entrata a far parte del canone letterario appalachiano dopo aver pubblicato nel 1987 Storming Heaven, tanto che, negli anni, su questo romanzo sono stati scritti decine di paper accademici. Con una storia personale di conflitto di classe alle spalle – Giardina è nata nel 1951 in una piccola città mineraria, dove ha vissuto finché il giacimento non è stato chiuso, obbligando la sua famiglia a spostarsi in città, a Charleston –, un interesse per la tradizione orale Appalachiana e una formazione di stampo teologico, la scrittrice è riuscita, nel suo secondo romanzo, a dare vita a una narrazione epica ambientata tra il 1920 e il ’21 – gli anni delle Coal Wars – che culmina con la battaglia di Blair Mountain, un vero scontro tra lo stato e i lavoratori, in cui l’esercito americano usò aerei, bombe e gas velenosi contro diecimila minatori disoccupati che chiedevano un riconoscimento sindacale.

Come descrive bene Cecelia Conway nel suo articolo “Slashing the Homemade Quilt in Denise Giardina’s Storming Heaven“: “Nella letteratura contemporanea del sud, molte autrici donne hanno lavorato sul tema della cooperazione e della mutua assistenza. Denise Giardina ritrae comunità montane che si sostengono reciprocamente, in posizione di forza grazie alla propria terra, devastate dalle potenze competitive e colonizzanti dei proprietari delle miniere a loro esterni. L’intensità della distruzione si espande con la consapevolezza che il romanzo è basato sulla vera storia di Matewan e gli scioperi del 1920; la lotta per la giustizia non è immaginaria ma reale. Giardina usa quattro punti di vista, diversi per genere: un montanaro cresciuto all’antica, un uomo più giovane nato alla vigilia dell’industrializzazione, una moderna donna delle montagne la cui famiglia vive a cavallo dei due mondi culturali, e una donna italiana immigrata che si è trasferita nel villaggio della miniera. Le loro vite in pericolo sono simbolizzate da consunti oggetti tradizionali… ”

La lingua segue le storie dei personaggi adattandosi al loro background e alla loro provenienza, snodandosi in un labirinto di lessici locali e personali impossibili da rendere in un altro idioma – il romanzo, infatti, non è stato mai tradotto – che trasforma la lettura, a sua volta, in un’esperienza campale. 

3. Strange as This Weather Has Been di Ann Pancake (Shoemaker & Hoard, 2007)

Basterebbe leggere la lettera che Ann Pancake ha scritto alla West Virginia mentre abitava a Seattle nel 2017 per capire il legame profondo che unisce la scrittrice alla sua terra d’origine. Lontana parente di Breece, il suo primo (e finora unico) romanzo, Strange as This Weather Has Been, mai uscito in Italia, è bastato a farla conoscere nella comunità letteraria come la John Steinbeck dell’Appalachia – e lo si può capire bene leggendo anche solo la dedica che lo apre: “For the people in the central Appalachian coalfields who struggle against catastrophe daily. Nowhere have I seen courage and integrity like theirs.” Del resto, Pancake ha intervistato e parlato con numerose persone che hanno vissuto sulla propria pelle i danni causati dall’estrazione mineraria effettuata rimuovendo le cime delle montagne. 

Strange as This Weather Has Been è una storia di famiglia da scoprire, che cambia narratore, punto di vista e linea temporale di capitolo in capitolo, offrendo al lettore una mappa costante dei mutamenti sociali e del territorio; ma è anche il racconto di una lotta politica e ambientale in una terra devastata dalle trasformazioni umane – come lo sfruttamento dei giacimenti minerari che snatura l’assetto idrogeologico delle montagne e causa catastrofi naturali che si ripercuotono sulla vita degli abitanti dei monti. Le montagne ferite sono dei golem nell’accezione originaria del termine, giganti senza intelligenza, ma con una forza disumana, comandati da individui senza scrupoli se non il profitto. Anche l’uso idiosincratico della lingua diventa un momento di riflessione parallelo a quello legato desolazione del paesaggio e alla rassegnazione delle persone che lo popolano, sempre però (come anche i personaggi dell’altro Pancake, Breece) profondamente guidate da una saggezza intrinseca. Lo dimostra Dane, alla sua linea d’esordio: “I’m only 12 years old. And I’m going to see the End of the World.”            

4. The Sarah Book di Scott McClanahan (Tyrant Books, 2017)

A detta di tutti, il difficile compito di raccogliere l’eredità di Breece D’J Pancake è capitato a Scott McClanahan. Il suo modo di raccontare è completamente diverso da quello di Pancake, ma li accomuna la stessa prosa incisiva, che lo rende uno degli autori che ha meglio ritratto l’Appalachia degli anni dieci del Duemila, prima con Crapalachia (del 2012) e più recentemente con The Sarah Book. Quelli di McClanahan sono libri fortemente autobiografici, in cui la realtà si mischia con l’autofiction: in primo piano ci sono sempre le persone, la cui terra d’origine è però una colpa, il motivo per cui si ritrovano a essere “hillbilly”, cioè appartenenti alla fascia di popolazione non scolarizzata, non inserita nella società, che vive ai margini economici e sociali delle città, senza possibilità di riscatto e senza futuro. Questo non impedisce allo scrittore di caricare comunque la sua narrazione di un forte senso di heimat, di un’appartenenza che plasma l’identità, molto meno a livello universale rispetto a Pancake, ma a livello contingente.

The Sarah Book, (anche questo mai tradotto in italiano), è il racconto del divorzio di Scott da Sarah, la cronaca in tempo reale della dissoluzione folle di un matrimonio, raccontata dal protagonista in prima persona e scritta mettendo a nudo tutte le sue fallacie. Le colpe e gli errori sono rivelati senza censura e senza essere accompagnati da una giustificazione, tutto ciò che succede – di giusto e di sbagliato – nella vita di Scott viene riportato con una prosa totalmente asciutta e cruda che stupisce per il modo che ha di sollevarsi da ogni giudizio – giudizio che non sarebbe volto a puntare il dito verso l’altrui ma a discolpare se stessi –, in un meccanismo di dissociazione che arriva persino a rivolgersi direttamente al lettore, sfondando del tutto la sospensione dell’incredulità. Sarah per McClanahan è ciò che era stata la West Virginia per Pancake: il motore immobile dell’azione narrativa, che vive di grandissime descrizioni dell’ambiente ma ancora di più dei suoi abitanti. Stavolta, però, al posto delle miniere e delle colline ci sono i Walmart e i trailer park: ciò che non muta, invece, è lo spettacolo dell’umanità varia offerto a chi legge.

5. A Pure Heart di Rajia Hassib (Hodder & Stoughton, 2019)

Rajia Hassib è egiziana e si è trasferita in West Virginia quando aveva ventitré anni. Anche quella del suo romanzo è una vicenda di famiglia, solo in apparenza molto diversa da tutte le altre di questa lista: meno intrisa di storia ancestrale e prettamente contemporanea, si snoda tra New York, l’Egitto e le montagne appalachiane. Ma la protagonista, Rose, è un’archeologa egiziana, che così definisce il suo rapporto con i fatti e il tempo: “I’m used to dealing with finished stories. That’s what I do at work: I examine history after it has happened. Not just broad, cultural history, but individual history as well.”

Accanto a lei c’è il marito Mark, originario della West Virginia, giornalista d’inchiesta abituato, invece, a maneggiare il presente e la storia mentre succede. I due si trovano a riflettere sull’ambiente, le abitudini culturali e le tradizioni religiose delle proprie terre d’origine, a cui sono sempre legati a doppio filo. E se per Mark le somiglianze sono facili da cogliere –”That was another thing Mark loved about Egypt: how friends and families merged and intersected, how people never seemed to be lonely. Almost like an exaggerated version of West Virginia, where his mother used to sell cupcakes for his basketball team’s baked-goods sales.” – per Rose è più semplice accentuare le differenze: “Whenever Rose visits West Virginia, she marvels at the state’s untamed connection to nature, a quality so different from Cairo or New York that she feels she is visiting an ancient, independent country.”

A Pure Heart è il meno letterario di questi cinque titoli, ma forse il più interessante per scoprire come la West Virginia con gli occhi di un’osservatrice esterna, senza vincoli di sangue che la connettono al territorio, e con un background che difficilmente si può definire condiviso, ma che ha scelto proprio quel luogo da chiamare casa una volta lasciato il suo paese natale.

(Foto: Wes HicksUnsplash)

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