Mentre impagino le puntate della rubrica di Carola Moscatelli penso sempre: che voglia di vedere tutto quello che consiglia. È come se ogni volta mi riaccendesse la curiosità. Che bello averla su questo blog.
(Previously on Cose di Carola: ecco il riassunto delle puntate precedenti)
di Carola Moscatelli
Fire of Love, Disney+

Se mi avessero detto che sarei andata a vedere un documentario su due vulcanologi volontariamente e che sarei uscita dal cinema contenta non ci avrei mai creduto. Eppure, sono andata a vedere Fire of Love e a credo di aver avuto la faccia dell’emoji con gli occhi a cuore per una buona mezz’ora, dopo.
Il film è fatto con materiale di archivio e qualche piccolo intermezzo di grafiche leziose e piccole strizzate di occhi alla Nouvelle Vague (ma oh, niente di pesante o di inutile) e racconta la storia d’amore di Katia e Maurice Krafft, due scienziati che si sono conosciuti all’università, si sono innamorati e insieme hanno deciso di dedicare la loro vita e il loro amore a uno dei fenomeni più inspiegabili del mondo fisico, i vulcani.
Insieme hanno fatto viaggi in ogni posto dove c’era un pennacchio fumante, hanno raccolto campioni, scattato foto, fatto divulgazione scientifica prima dei social, aiutato Paesi a pensare a piani di evacuazione per salvare chi nei pressi dei pennacchi fumanti ci abita e insieme sono morti, mentre osservavano un’eruzione in Giappone nel 1991.
Tutto il racconto è allo stesso tempo spirituale e erotico: la fortuna, quasi incredibile, di trovare qualcuno con la tua stessa ossessione e con il tuo stesso desiderio di spiegare l’inspiegabile, reggere questa vita lungo gli anni solo con la forza dell’amore, per il tuo partner e per il vostro scopo. Un amore che è a servizio dell’umanità e allo stesso tempo la esclude completamente fuori.
A un certo punto Maurice dice di sé stesso che è come un leone marino, sociopatico, ma allo stesso tempo amante dell’umanità e queste due cose che sembrano contraddittorie si riescono a fondere, come la lava quando esce dai vulcani effusivi.
How I met Your Father, Disney+

Tra le cose di cui sono convinta c’è l’idea che le serie comedy spieghino alla perfezione lo spirito del tempo in cui sono state girate. Volete capire più sul passaggio tra gli anni 80 e i 90? C’è Seinfeld che è una miniera. E come sono cambiate le relazioni dopo l’11 settembre? Vedere How I Met Your Mother spiega benissimo il ripiegamento nel personale dell’inizio degli anni Zero. Di Friends non parlo perché altrimenti finirei tra sei giorni, ma insomma, ci siamo capiti. Ma adesso?
Adesso che ci stiamo riprendendo da una cosa che non credevamo possibile abbiamo bisogno di essere confortati. Non è il caso di sperimentare cose ma cercare di resettare una normalità. Ricominceranno delle cose nuove, ma non è questo il momento, ora è quello di Kate Bush di nuovo in heavy rotation come trenta e passa anni fa.
How I Met Your Mother è stata la comedy della mia generazione. Io sono coetanea del Ted Mosby che inizia a raccontare ai suoi figli la storia della sua vita. L’ho vista a tozzi e bocconi quando uscì e l’ho recuperata per intero qualche anno fa. È stato un recupero molto strano, devo dire: ci ho messo tantissimo perché è come se ci fossero due forze che si contrastavano, la parte di commedia vera e propria e il dramma (il dramma di HIMYM ti prende a calci in faccia quando hai le difese abbassate e per riprendermi da alcuni episodi ci ho messo un po’) e sembrava di stare sulle montagne russe, soprattutto nelle ultime stagioni.
How I Met Your Father l’ho iniziata, messa in stand by per più di un mese e poi terminata in un po’ di giorni di Covid. Questo per dire che è piuttosto perdibile anche se io non ho nessun problema con gli esercizi di stile.
Hilary Duff (che è la voce narrante e che a sessant’anni si trasforma in Kim Cattrall) è una Pollyanna trentenne che vuole fare la fotografa e gira con una reflex e i tacchi 15, ha una coinquilina latina bona bonissima che sembra una mangiauomini ma in realtà è una brava ragazza e lavora nella moda, che un giorno si porta dietro da una trasferta un fidanzato inglese ricchissimo e incapace di stare al mondo.
Un giorno prende un Uber per andare a un appuntamento preso su Tinder e conosce Chris Lowell (che perpetra il mito dell’attore più anziano che fa i ruoli più da pischello) che non crede all’amore perché la sua fidanzata ha respinto la sua proposta di matrimonio (che è stata filmata ed è diventata virale su YouTube).
Sophie e Jess sono due personaggi completamente sovrapponibili, le interazioni tra loro (che probabilmente idealmente sarebbero i nuovi Ted e Robin) sono noiose al limite del sonno. C’è qualche guizzo dai personaggi secondari (Charlie è il personaggio di Rachel Green nella prima stagione di Friends, ma uomo e con un pesante accento britannico, fa pure il cameriere, e porta a casa la linea comica insieme Sid) e quando si parla di problematiche generazionali (i rapporti nati dalle dating app, le velleità artistiche, che per citare il poeta, ti aiutano a campare, ma anche a scopare, ma a volte anche no). Per il resto è noia. Chiaramente l’hanno confermata per la seconda stagione col doppio delle puntate della prima.
Wanna, Netflix

Per vedere Wanna ho aspettato quasi due settimane dal momento dell’uscita e dalle polemiche che si è portata dietro. Sì, perché per i primi giorni mi è capitato di leggere moltissimi giudizi di persone che si dicevano scandalizzate dal clamore mediatico che poteva investire di nuovo il magnifico duo. Invece forse è il caso di problematizzare una storia assurda, che ci è letteralmente capitata sotto gli occhi in una sessione qualunque di zapping.
La prima cosa di cui si dovrebbe parlare è il titolo. Wanna sì, ma soprattutto Stefania, che per me è la vera villain della storia (Stefania è Stefania Nobile, figlia e partner in crime di Wanna Marchi, per chi non lo sapesse), una figlia che usa la fama della madre per acquisire uno status e che diventa la vera madre che decide del duo: decide quando è il momento di far finire il matrimonio dei suoi genitori, decide di dare il via alla svolta della seconda parte della loro carriera e attivamente si spende come telefonista per truffare i loro clienti.
Poi, la storia è talmente piena di tutta la cronaca e la sociologia venute fuori in quegli anni per cui su una storia di puro familismo amorale (la mamma che lavora e truffa un po’ – e piano piano sempre di più – i suoi clienti per amore dei figli), si incistano la Nuova Camorra di Cutolo, la P2, il potere di Berlusconi, mai esplicitato ma sempre nell’aria, che più che il rischio di un’agiografia c’è quello di vedere un film dell’orrore.
A me ha ricordato moltissimo Sampa, il documentario su San Patrignano che trovate sempre su Netflix, perché Marchi e Nobile e Muccioli, in maniera diversa, hanno riempito un vuoto che si era creato, dando soluzioni, discutibili e sicuramente poco funzionali, a problemi nuovi che la gente viveva e che non sapeva come risolvere.
A lato metto un inciso sulla grassofobia, enorme, gigantesco tema che ha fatto la fortuna delle due: se siete minimamente sensibili a riguardo non vedetelo e non leggete neanche l’intervista (bellissima) che ha fatto al dinamico duo Jonathan Bazzi: i nemici, anche in galera, sono sempre stati grassi. Vi perdete sicuramente qualcosa, ma è un viaggio sulle montagne russe.
Titoli di coda
Carola Moscatelli è nata l’ultimo fine settimana degli anni ’70 e il primo film che ha visto al cinema è stato Flashdance. Le piacciono i libri, le piante, i gatti e le scarpe e parlare delle cose che ama in ogni mezzo. Ha conosciuto Valentina perché incuriosita dai tre fatti e in capo a sei mesi già stavano facendo le prove per la conquista del mondo. Strategie Prenestine le ha fatto conoscere molte persone, leggere molti libri, bere molta birra e venire a sapere che ha la luna in Toro.
(Immagine in apertura: la coppia di vulcanologi Maurice e Katia Krafft, da qui)
0 Commenti