Carola Moscatelli, la nostra critica cine-tv preferita, torna su questi schermi per raccontarci tre film: se avete perso le recensioni precedenti, eccole qui.
Nostalgia

La mia amica Federica dice che sono una persona molto nostalgica e a me questa cosa ha dato molto da pensare, i primi tempi in cui me lo diceva. Ho vissuto per anni contorniata da persone che hanno fatto del passato un culto. Io non mi sono mai sentita troppo così, ma sicuramente questo modo di ragionare è diventato familiare.
Il culto del passato può essere una stronzata sesquipedale che ti trattiene prigioniero del passato per non farti vivere il presente, ma può essere anche il mezzo propulsivo per farti stare bene nell’oggi, ancorato a quello che sei stato e io mi sento esattamente a metà tra le due forze.
L’equilibrio è anche quello che ricerca Felice, il protagonista di Nostalgia, ultimo film di Mario Martone. Torna a Napoli dopo quarant’anni per fare i conti con il suo passato, che poi sono sua madre e quello che era il suo migliore amico.
Ritornare dalla madre lo sana: Favino (nu-do, nu-do, scusate, mi è scappato) all’inizio del film pare un marziano, capitato al Rione Sanità per caso. Parla come un kebbabaro, è distante e a disagio e tutto traspare in maniera evidente dalla sua interpretazione. A mano a mano che la storia continua, Felice torna ad abitare il suo posto, ricomincia a parlare in napoletano, affronta il suo amico diventato boss della camorra.
A parte in due scene in cui sono insieme, l’amicizia tra i due uomini ci viene raccontata tramite flashback e per contrapposizione, per cui Favino è quello pulito, che si fa le abluzioni rituali dei musulmani, mentre Tommaso Ragno è sporco; Favino contornato di piante verdi nella casa pazzesca che affitta per la madre, Ragno che ha un balcone pieno di piante secche e morte. Il rapporto tra i due è la vera chiave del film e incarna la classica dicotomia che parte dalla tragedia greca e arriva a Springsteen: nella vita o scappi e ti salvi o resti impantanato e ti ritrovi re della monnezza che hai intorno.
Felice in realtà vorrebbe rompere questo circolo vizioso e cercare di restituire qualcosa al quartiere. Per cui diventa amico di un prete anticamorra, si integra coi ragazzi della parrocchia. Ma non basta.
Elvis

Luhrmann o si ama o si detesta cordialmente, perché ogni suo film ha degli stilemi fissi, visibili dalla luna. Tipo la sua fotografia, il suo uso della colonna sonora, ma anche i suoi protagonisti maschili, dei giandoni con gli occhi da cucciolo che si infilano sempre in storie più grandi di loro. La loro espressione è sempre quella di chi avrebbe volentieri fatto a meno di armare tutto il casino che si sta raccontando, però ci sono dentro e ci rimangono fino alla fine (di solito tragica, ecco, anche il racconto di una parabola è uno degli stilemi tipici di Luhrmann).
La storia di Elvis io non la conoscevo se non a grandi linee: Tenessee, servizio militare, una moglie che si chiama Priscilla, una figlia Lisa Marie, tanti film, una fine ingloriosa a Las Vegas. Pur riconoscendo l’importanza musicale e performativa del personaggio, non è mai stata roba mia. Come molte cose coeve (penso a certi film, e a certa letteratura) Elvis è invecchiato male, superato a destra e sinistra da altri modelli.
La storia che ci racconta il film (non troppo fedele all’originale, ma chi se ne fotte, se volevo la fedeltà alla storia cercavo un documentario) invece lo fa diventare una specie di eroe tragico. Un predestinato, che incontra il suo antagonista (un Tom Hanks quasi mefistofelico); l’eroe cresce e prospera, ma a un certo punto capisce che qualcosa non torna in quel rapporto e cerca di smarcarsi, non riuscendoci mai.
La seconda parte del film diventa una specie di remake dell’angelo sterminatore, con Elvis che non riesce ad abbandonare l’albergo di Las Vegas dove doveva fare 66 date, rimandendoci per cinque anni consecutivi.
La cosa migliore però è stato il racconto parallelo della storia dell’America: partendo dalla segregazione nella quale è stato immerso fin da bambino, passando per la morte di King e di Bob Kennedy, Luhrmann riesce a raccontare i vari pezzi di cui è composto Elvis, pezzi grossi e non necessariamente nati per stare insieme e per funzionare.
Spencer

Niente mi leva dalla testa che Larrain e gli altri sceneggiatori di Spencer abbiano letto L’amica geniale e si siano basati sulla smarginatura di Lila per parlare delle tremende feste di Natale ’91 a Sandringham.
Non era facile approcciare una delle storie maggiormente conosciute della contemporaneità e darle un taglio diverso, e spostare il focus sulla follia di Diana rendeva tutto doppiamente rischioso, ma il risultato è stato portato a casa: Spencer non è uno di quei film verità con personaggi bidimensionali, si vedono la bulimia e l’autolesionismo di Diana senza però che lei passi per il personaggio patetico a cui siamo abituati.
La grossa nota a sfavore è l’interpretazione di Kristen Stewart – almeno nella parte della glamorous Diana. Fa un sacco di mossette vezzosette, che a me hanno fatto più pensare a una bimba che imita un’adulta che a un’adulta vera e propria.
Un’altra cosa che ho trovato molto strana è stata la presenza di abiti Chanel in praticamente ogni scena. Diana vestiva Chanel? Forse. Ma probabilmente dopo il divorzio, dato che finché è stata sposata con l’erede al trono britannico probabilmente sarà stata molto incentivata a usare abiti di stilisti inglesi. Invece Kristen Stewart – che è brand Ambassador Chanel, praticamente non indossa quasi altri vestiti. Spero che il product placement abbia fatto guadagnare qualche soldino alla produzione.
Titoli di coda
Carola Moscatelli è nata l’ultimo fine settimana degli anni ’70 e il primo film che ha visto al cinema è stato Flashdance. Le piacciono i libri, le piante, i gatti e le scarpe e parlare delle cose che ama in ogni mezzo. Ha conosciuto Valentina perché incuriosita dai tre fatti e in capo a sei mesi già stavano facendo le prove per la conquista del mondo. Strategie Prenestine le ha fatto conoscere molte persone, leggere molti libri, bere molta birra e venire a sapere che ha la luna in Toro.
(In apertura foto presa da qui)
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