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Consigli

Parola di libraio: alberi e balene

due piccole piantine dalle foglie verdi che spuntano dal terreno

Alessio è un po’ magico: ogni volta che leggo la sua newsletter carbonara non solo mi viene voglia di seguire subito i suoi consigli, ma mi migliora l’umore all’istante. Ha una capacità rara di incuriosire e di illuminare piccole cose quotidiane, a volte toccando anche i massimi sistemi, ma sempre a modo suo. Questo aspetto si capirà meglio quando inizierò a pubblicare qui anche i suoi racconti e gli spunti di scrittura, ma intanto… ecco un altro seme da piantarci in testa.

Tutte le puntate di questa rubrica? Eccole qui.

Come si fa a ricevere la newsletter carbonara di AlessioScrivetegli una mail e ditegli che vi mando io.

Alberi e balene

da: Alessio Zambardi, libreria Il Mattone, Centocelle, Roma

SEME.
Sarà stato un paio di anni fa. Valentina mi dice “Sto leggendo Moby Dick, è bellissimo. Vado piano, quasi non voglio che finisca.”

Io ascolto e penso che però non ho voglia di mettermi a leggere un trattato sulle balene, ma il mio cervello la pensa diversamente: prende questa frase e la mette in un vaso, bello nascosto, senza dirmi niente. Il cervello fa così: mica ti chiede niente. Lui fa. 

PRIMI RAMOSCELLI.
Negli ultimi mesi mi cominciano a chiedere frequentemente i libri della Pequod Edizioni.
(Per chi non lo ha letto: il Pequod è la baleniera che va a caccia di Moby Dick) 

E il mio cervello aggiunge acqua. Senza dirmi niente. 

E poi Claudia che mi dice: “Alessio, c’è questa associazione di cui faccio parte, facciamo cose e vediamo gente (cit., in realtà non sono proprio queste le parole, ma è per farvela breve). Si chiama La balena bianca

E il mio cervello aggiunge acqua. Senza dirmi niente. 

TRONCO.
Un mio cliente mi fa:
– Alessio, stiamo girando un cortometraggio: c’è questa valigia appartenuta a un soldato italiano della Prima Guerra Mondiale, dentro ci deve stare una copia di Moby Dick di quegli anni. Ne puoi rimediare una copia?
– Ma in italiano?
– Sì.
– Mmmmhh, no mi spiace, la prima traduzione italiana è quella di Cesare Pavese del 1933. Al massimo possiamo trovare una copia dell’edizione inglese di inizio Novecento, ma non la regalano. Avete alternative? 

E intanto l’albero cresce. 

Agli inizi di settembre dell’anno scorso pesco per radio (in macchina faccio uno zapping abbastanza frenetico) Moby Dick del Banco del Mutuo Soccorso. Potete ascoltarla qui, a un Discoring dell’83: godetevi gli straccali di Francesco Di Giacomo di bianco vestito.

E danzerai sopra una stella marina,
e danzerai colpendo al cuore la luna.
Chi impazzì, dietro a te, non tornò mai più. 

io non la sentivo da decenni, era più che altro un timido ricordo di quand’ero piccolo. 

E intanto l’albero cresce. 

Ce manca solo Melville che me telefona e me dice:
– Ale’, ma ‘sto cavolo de libro… te lo leggi o nun te lo leggi? 

E dunque: CHIOMA.
L’ho preso in mano a settembre pensando che comunque avrei potuto saltare qualche pagina. Invece non ne ho saltata nemmeno una, nemmeno quando Ishmael mi parlava della testa del capodoglio e nemmeno quando mi diceva quante vertebre ci sono fino alla coda. Tutta la ciurma mi ha fatto compagnia fino a qualche giorno fa (sono un lettore lento, ma è durato il tempo giusto). Non avevo fretta.

E ce l’ho ancora tutto addosso: sono ancora sul cassero di fianco a questo folle scassaballe di Achab, e sono ancora a cena con Queequog, Ishmael e Tashtego, e sono ancora con Starbuck che vuole tornare presto a casa, e sono ancora sul colombiere per avvistare gli sbuffi (ma faccio finta di non vederli, io sto con le balene).

SEMI.
Se in futuro leggerete (o rileggerete) Moby Dick sappiate che questa email è stata messa dal vostro cervello in un vaso, bello nascosto, senza dirvi niente. Il cervello fa così: mica vi chiede niente. Lui fa. Ci penserà lui ad aggiungere acqua. Senza dirvi niente. Questa forse era un po’ lunga, ma siete arrivati fin qui: grazie a tutti. 

Alessio

PS Ecco cosa intendo quando dico che sono i libri che ci chiamano. E lo fanno sempre nel momento giusto. Né troppo presto, né troppo tardi.

(Foto di Francesco Gallarotti su Unsplash)

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