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Consigli

Cose di Carola, season finale

Questa è l’ultima puntata di Cose di Carola: ecco cinque recensioni che mescolano film e serie tv da recuperare, magari proprio questa estate.

Grazie a Carola Moscatelli per aver accettato di condividere anche qui le impressioni che appunta sul suo profilo Instagram: tutto è nato da un vocale in cui le spiegavo la mia idea pazza, me lo ricordo come se fosse ieri. Una manovra a tenaglia nata per bucare la sua bolla e farla leggere anche da altre persone, perché è brava e deve scrivere.

E Carola, finalmente, scriverà: il primo agosto parte la sua newsletter mensile, Prove Tecniche di Trasmissione. Questo è il teaser: iscriviti qui.

Grazie Carola, ci leggiamo di là.

Cose di Carola, season finale

di Carola Moscatelli

I pionieri

Uno degli insegnamenti della mia famiglia contadina è questo proverbio: non puoi chiedere all’oste se il vino è buono. Significa che non puoi pretendere una qualche forma di obiettività da una persona coinvolta, praticamente o emotivamente, da qualcosa. Quando esce un prodotto (che sia libro, film, o qualsiasi cosa) di una persona che mi è cara, per qualsivoglia motivo, io raramente ne parlo. Appoggio, consiglio e fangirlo da lontano. Faccio un’eccezione per il film di Luca Scivoletto, I pionieri.

Luca non ne ha curato solo la regia, ma è sua anche la sceneggiatura (che è tratta da un suo romanzo edito da Fandango nel 2019). La storia è quella di un gruppo di ragazzini che cercano di ricreare un campeggio dei pionieri, gli scout comunisti che hanno avuto una relativa fortuna ai tempi della segreteria di Togliatti. Solo che la storia è ambientata nel 1990, il muro è caduto e il partito non è più quello di prima. Anche il gruppo dei campeggiatori è piuttosto bislacco (una metafora della sinistra che sarebbe venuta? Po’ esse) e sembra un po’ rovesciare il senso di quella frase di King in calce a Stand by me, che non avrai amici migliori che quelli di quando hai 12 anni. Il film è divertente, godibile non solo per chi ha avuto la fortuna di avere genitori comunisti.

Fleishman è a pezzi

Fleishman è a pezzi e manco noi stiamo benissimo. La serie, che trovate su Disney+, è una specie di requiem per la mia generazione. Parla di un divorzio (del Fleishman del titolo) dell’Upper West Side. Lui è un medico giandone che sembra essere costantemente a disagio e lei è una produttrice teatrale con un colore di capelli cool ma punitivo. Cosa hanno in comune questi due, a parte due figli e una casa molto figa? Niente. Drammaticamente niente.

Passiamo molte puntate appresso al racconto della storia di lui, che è un insicuro con madre castrante ma ehi, è ebreo, non può che essere così. È talmente insicuro da ragazzo che sposa la prima che gli dà corda, una ragazza senza passato, con degli evidenti traumi che riemergono tutti insieme alla nascita della prima figlia. Da quel momento in poi litigano e basta. Lei sente di doversi radicare nell’Upper West Side, così lavora come un mulo e fa opera di networking con le mamme ricche della scuola dei figli. È la sua missione.

Lui non capisce e alle volte fa pippa, alle volte alza la voce ma ha l’autorevolezza del mazzo di agretti lessi che staziona nel vostro frigorifero (una delle scene migliori, a mio avviso, è quella del dialogo con l’avvocato divorzista che gli dice “lei è la moglie della sua famiglia”). Quindi divorziano e potrebbe essere un nuovo inizio per entrambi, E INVECE NO. Perché per la mia generazione di americani il divorzio è un fallimento di un progetto di vita, non la visualizzazione di un fosso che ti sei scansato come sarebbe nella vita vera. E allora non basta elaborare le fasi del lutto, ma cercare di tornare insieme (non spoilero il finale ma mi sono cascate le braccia. E sto al quinto piano).

La serie è scritta benissimo e tiene alla perfezione fino alla fine. Si vede che è tratta da un libro perché è moltissimo parlata. Il punto di vista è quello di Libby, che è un’amica del lui della coppia, chiaramente recuperata solo dopo il divorzio perché tutte le necessità affettive di una persona sposata si devono esaurire nel suo partner. Libby sta passando anche lei un periodaccio con la sua vita e approfitta del racconto della storia del suo amico sfigato per fare delle considerazioni su amicizia, mezza età, problematiche di ruolo nel mondo. È probabilmente, insieme all’altro amico di Fleishman, il personaggio più vivo del racconto.

Una annotazione sul casting: secondo me non è un caso che il protagonista sia proprio Jesse Eisenberg (il Mark Zuckerberg di The Social Network) e che in mezzo ci siano Claire Danes e Josh Radnor. È come se chi ha scelto gli attori abbia cercato di trovare persone che sono state famose per un qualche ruolo iconico (Giulietta, Ted Mosby) per farli arrivare alla loro versione esasperata di quei ruoli (Eisenberg che scopre il sesso con le app, Danes che è il personaggio più freddo e meno romantico della serie, Radnor intrappolato in un matrimonio infelice). Vedetela se vi piacciono i drammi familiari e i prodotti molto parlati, altrimenti l’alert palla ar cazzo può essere fortissimo.

Air

Ero molto incuriosita dall’uscita di Air, ultima fatica registica di Ben Affleck perché scegliere di raccontare la nascita di un mito è sempre complicato, soprattutto se si parla di capitalismo. Il film è ambientato nel 1984 e la ricostruzione storica è sicuramente una delle parti migliori, con una bellissima e invasiva colonna sonora, ma anche con elementi che oggi sembrano davvero desueti. Tipo, gli uomini andavano al lavoro in abito e mocassini anche se lavoravano alla Nike, a quarant’anni si era considerati di mezza età, si poteva essere bolsi e non allenati e il fine settimana si indossavano camicie hawaiane senza la minima ironia.

In questo mondo precontemporaneo si decide di cambiare una serie di regole, relative all’abbigliamento sportivo e alla sua pervasività nella vita di tutti i giorni. Sembra una cosa da poco, ma senza le Jordan probabilmente non ci sarebbero stati processi che hanno cambiato il nostro modo di vestire e che hanno spazzato via i mocassini e gli abiti formali.

È un film sul coraggio e sulla visionarietà (Phil Knight, il CEO di Nike, è come se fosse il pronipote di quegli uomini che lavoravano per lui), ma che mi ha lasciato perplessa per un paio di ragioni.

La prima è l’accenno alla problematica produttiva: in un dialogo tra Strasser e Vaccaro il primo parla delle linee di produzione in estremo oriente (che ai tempi erano Corea e Taiwan) che non lo facevano sentire “assolutamente in colpa”. La storia di Nike è anche una storia di sfruttamento e decidere di raccontare solo un momento di gloria non è un’operazione neutra.

La seconda è l’assoluta mancanza di Jordan nel racconto. C’è Nike, ci sono i genitori, lui è una specie di pupazzetto. Probabilmente non ha accettato come questa storia veniva raccontata e non ha acconsentito a prenderne parte. Però comunque è stata una scelta molto strana. È da vedere se vi appassionano i racconti del grande sogno americano e se avete visto The Last Dance e non vi abbasta mai.

Mixed by Erry

Anno del signore 1992, sono in piena fase depressiva adolescenziale e sono al mare, a Ladispoli. Il mio walkman langue perché mi sono portata relativamente poche cassette e la radio è vicino alla televisione e si può accedere solo la mattina . Un pomeriggio, dopo la spiaggia, faccio caso, per la prima volta nella mia vita, a un banco con delle cassette che costavano cinquemila lire. Compro, nei giorni, quelle di Paolo Vallesi, di Luca Carboni e il best of dei Queen (eh oh). Non sapevo che stavo commettendo un qualche tipo di illecito, perché la duplicazione di cassette era una cosa che facevo quotidianamente: ero tra le poche persone ad avere uno stereo con doppia piastra a completa disposizione e le TDK da 90 minuti coi mix le facevo a chiunque me le chiedesse. Il file sharing analogico era un po’ più complicato, ma possibilissimo anche per una persona come me.

Questo lunghissimo pippardone introduttivo per dire che questo è il quinto film di Sibilia e che la sceneggiatura è sempre la stessa: l’innovatore ai margini della società che combatte qualcosa facendo un illecito ma oh, lui mica ammazza le persone come i veri cattivi. Di contorno ci sono un gruppo che lo supporta, sempre e comunque, delle figure femminili che sono poco più che delle presenze fantasmatiche.

C’è anche il bonus rapporto problematico col padre, che qui non c’è, e meno male. Però c’è sempre un mezzo di locomozione assurdo. Intendiamoci, il film è carino, gli attori sono bravi, il tema (la pirateria musicale) è più trasversale delle droghe o dell’isola davanti alle piattaforme di trivellazione a Marina di Ravenna e l’effetto operazione nostalgia viene bene pure con la Napoli dei contrabbandieri. Però, Sidney, ti parlo col cuore in mano, la prossima volta prova a fa’ un altro film.

The Marvelous Mrs Maisel

Questa stagione è stata un mah, non so, fino all’episodio finale. Amy Sherman Palladino ama il racconto della minutaglia della vita dei suoi personaggi (ed è uno dei punti di forza della sua scrittura) ma ci stavano veramente troppe cose senza senso che mi sembravano messe lì solo per allungare il brodo (e forse era vero). Poi le incursioni nel futuro: perché Midge deve diventare una stronza? Peggio, una stronza banale? Rompi le regole per non cambiare nulla. A che serve?

Poi però per fortuna è arrivata la puntata finale. Come nelle altre stagioni è stata il culmine di una situazione portata all’esasperazione per accumulo (il lavoro di redazione, quella che ho chiamato la sottotrama Mad Men). Arriva un monologo che crea un prima e un dopo (e questo è molto bello), ma ci sono anche alcuni nodi che andavano sciolti e lo fanno con naturalezza. Ecco, perdono la storia dei matrimoni, del rapporto con Susie, con Joel e con i figli per come sono andate le cose nell’ultima puntata.

È la fine del suo apprendistato e non poteva che finire così, con un pezzo di Lenny sul cuore, con un monologo sull’origine del suo essere diventata una comica davanti alle persone che hanno innervato la sua comicità (famiglia di origine e marito), con un vestito della madonna, rubando il microfono.

Per finire credo che essere codardi è tenero solo nel Mago di Oz è una di quelle frasi che ricamerò a punto croce su un cuscino e ci farò un quadretto da attaccare vicino allo specchio del bagno per ricordarmene.

Titoli di coda

Carola Moscatelli è nata l’ultimo fine settimana degli anni ’70 e il primo film che ha visto al cinema è stato Flashdance. Le piacciono i libri, le piante, i gatti e le scarpe e parlare delle cose che ama in ogni mezzo. Ha conosciuto Valentina perché incuriosita dai tre fatti e in capo a sei mesi già stavano facendo le prove per la conquista del mondo. Strategie Prenestine le ha fatto conoscere molte persone, leggere molti libri, bere molta birra e venire a sapere che ha la luna in Toro.

  • Tutte le puntate precedenti di questa rubrica? Eccole qui.

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